Cos' è la memoria?
Possiamo accedere a tanti significati di questo termine quanti sono i campi di studio ad esso collegati. Così la memoria diventa la capacità del cervello di conservare informazioni; è il processo con cui si codificano, si immagazzinano e si recuperano i dati; in informatica può essere considerata astrattamente come una sequenza finita di celle che contengono una sequenza finita di bit; è la rievocazione di un ricordo che rivive nell’animo e nel pensiero. La memoria nella nostra esperienza è una capacità innata del cervello che nutre la consapevolezza della nostra identità. Chi saremmo senza memoria? Resteremmo sempre noi però senza esserlo davvero?
Se perdessimo uno dei nostri cinque sensi resteremmo ugualmente noi. Chi non vede può arrivare ad essere ciò che è attraverso altri sentieri che il corpo e la mente consentono di percorrere. Così ciò che è attorno a noi possiamo toccarlo e ciò che è dentro di noi possiamo sentirlo e se vogliamo siamo in grado di dargli uno spessore, una forma, un colore, trasformarlo in ciò che realmente è e farlo diventare un pezzo di identità che ci appartiene.
Tra memoria e coscienza esiste un filo indissolubile, non possiamo considerarli due elementi opposti della stessa unità, essi sono quella unità tutta, e basta. Quando comincia a dissolversi la memoria, la coscienza si dissolve, quando la memoria sfuma nell’oblio trascina con sé anche la nostra capacità di essere in noi, di vederci, di sentirci e toccarci, non importa se abbiamo occhi oppure no, potremmo essere anche senza naso ma se siamo senza memoria la sensazione è di non essere più noi stessi.
Quando un genitore ricorda meno: quali sono le risonanze emotive sui figli che si prendono cura?
Assistere al rallentamento cognitivo, nella funzione della memoria, di un genitore non è un’esperienza che a tutti va in sorte, ma chi la vive sa che si tratta di un evento di quelli che segnano un capitolo emotivo unico ed irripetibile nella propria vita; un vissuto molto doloroso che tocca l’ anima così in profondità da percepire un male quasi fisico.
C’è un momento in cui il cervello di una persona sceglie la strada dell’oblio.
Non sappiamo quale sia il motivo, la spinta iniziale che attiva questo processo degenerativo; quello che è certo al momento è che la scelta di un neurone di intraprendere un percorso al posto di un altro sembra arbitraria, esattamente come la scelta di un essere umano di decidere tra guerra o pace. Al di là delle ragioni, quelle più accessibili alla coscienza, non è mai dato conoscere davvero perché un uomo, così come un neurone, decidano per sé percorsi tanto nefasti. Quando però da spettatori ci troviamo dentro quella decisione non abbiamo altra scelta che partecipare ed iniziare ad attraversare con il nostro caro le deviazioni della sua memoria, sia da un punto di vista di gestione pratica che emotiva.
Ci sono delle fasi.
All’inizio la dimenticanza sembra un fatto accidentale, non ricordare un breve percorso stradale o di preferire da sempre un cibo al posto di un altro, sembrano atti di semplice distrazione giustificati come stanchezza del momento, quell’attimo un po’ naif dell’ essere “tra le nuvole”…A chi di noi non capita senza che diventi un affare di Stato!?
Poi man mano si comincia a prendere atto che certe dimenticanze del nostro genitore non siano proprio così accidentali e, anche se rientrano nell’alveo della sporadicità, con una debole messa a fuoco del problema, tra negazione e consapevolezza che la nostra coscienza di figli è stata pungolata senza appello, sappiamo che il campanello di allarme si è attivato. Da li a passare a: “dove si trova il citofono di casa; “dove è il bagno”; “chi è questa persona che tu figlio riconosci l’amico di famiglia di una vita”; “chi sei tu”; “è mattina quindi si cena o si fa colazione”?…il passo è breve.
Ciò che noi figli soffriamo di questa situazione è la partecipazione da spettatori impotenti allo smarrimento del nostro genitore, quando il suo sguardo resta fermo ed interdetto di fronte alla realtà dei ricordi e riusciamo ad intercettare in esso un istante di confusione, quell'attimo in cui il nostro genitore è dentro ad un conflitto tra ciò che percepisce provenire dall’interno di sé (come ricordo io) e ciò che percepisce fuori da sé (come ricordano gli altri). Quella lotta di coscienze di forza pari e contraria, dove ognuna sembra smentire la realtà dell’altra, è impressa nell'espressione di perplessità del proprio caro che ha occhi grandi e spaventati. Sembra voler dire a sé stesso “che cosa mi sta accadendo”? In quell'espressione smarrita tra la paura e la perplessità si gioca il suo dolore e quello di noi figli.
Quale la cura migliore per il nostro genitore?
In questi casi la cura migliore è offrire amore e presenza nella gestione delle autonomie, nel donare affetto ed essere attivi in tutto ciò che riguarda il quotidiano del genitore affetto da malattie che colpiscono la memoria. Amore e presenza rappresentano un fatto tangibile e concreto nella buona risposta del genitore al contenimento di questo inesorabile oblio. Fatte salve le cure farmacologiche, questo fatto dell’amore non è né poco né scontato. E’ la soluzione che attenua più di tutto il dolore di entrambi, genitore e figli, perché nutre la parte forte, quella che decide di spingersi in avanti e non abbattersi. Mamma o papà nel loro declino, a dispetto di tutte le riflessioni sul loro essere o non essere più presenti a sé stessi, sembrano comunque comprendere da qualche parte delle loro coscienze di essere curati e amati.
A volte non ricorderanno chi siamo, forse non saranno consapevoli quando ci guardano che siamo i figli che offrono loro l’abbraccio sincero prima del congedo della buonanotte o il saluto del buongiorno, ma quell’abbraccio è potente per noi e speriamo in cuor nostro che lo sia anche per loro, perché a dispetto di tutte le teorie e le riflessioni su questo tema, è un gesto che vuole trasmettere questo messaggio:
“Caro genitore, voglio comunicarti con il senso del tatto che io sono la tua memoria, sono qui a ricordarti che resterai comunque una persona unica, con i tuoi connotati e i tuoi pensieri di sempre, il tuo saper fare, il tuo essere autonomo, con il cibo che preferisci al posto di un altro, con il ricordo del vecchio amico di famiglia e che oggi, anche se i tuoi neuroni hanno deciso per te un percorso alternativo della coscienza e della memoria, hai ancora intatti i tuoi cinque sensi per percepire in un odore, in una musica, in questo abbraccio il tramite che arriva al ricordo della tua identità”.