Dott.ssa Beatrice Caponi - Psicologa Psicoterapeuta

Dott.ssa Beatrice Caponi - Psicologa Psicoterapeuta

Mercoledì, 02 Dicembre 2020 18:22

Natale: tra gioia e conflitto

Il Natale è la festa di tutti, che piaccia o no chiunque sa che in questo periodo dell’anno si attiva qualcosa dentro di noi che ci avvicina a questo evento o ci allontana da esso facendo così da specchio alle nostre idee e alle nostre emozioni. Potremmo dire semplificando che il natale è la cartina al tornasole della nostra identità: dimmi come vivi il natale e ti dirò chi sei.

 

Perché amiamo il Natale

Chi ama il Natale sa che non potrebbe essere altrimenti, sa che non potrà mai non amarlo perché non è contemplato che ciò possa accadere. E la ragione sta nella sua magia…

Chi riesce ad amare il natale è consapevole di vivere in un arco temporale di incanto perché si è trascinati dentro ad un tempo passato fatto di memorie positive. La memoria positiva associa un fatto alla gradevolezza della risposta emotiva che, come in un click fotografico, crea nel cervello un’immagine indelebile che diventa archivio di memorie buone a cui accediamo tutte le volte che vogliamo. Come in un album fotografico sfogliamo le pagine che rendono visibili una sequenza di immagini dove ci sono luoghi e situazioni di cui potremmo sentirne anche l’odore.

Il Natale ha un suo odore e se ci spingiamo dentro agli altri sensi li percepiamo tutti nel ricordo di noi da piccoli che perdura lo stesso in un tempo attuale: il tatto dell’albero durante il suo addobbo, le statuette del presepe posizionate dentro a luoghi ancestrali, l’odore del cibo cucinato per il convivio della vigilia e del pranzo di natale, i rumori delle stoviglie, delle padelle e dei piatti che prendono un proprio spazio nell’organizzazione della tavola, il gusto di un alimento nell’assaggio. L’essere partecipi visivamente a tutto questo con l’immaginazione mette in moto la macchina del ricordo del natale e non vediamo l’ora oggi di attivarci per realizzare dal vivo, come ogni anno, il rituale di questa magica festa nella quale sentiamo il tepore dell’abbraccio da sempre.

Il Natale è una luce intermittente che brilla, è il fiocco di neve, è il freddo che si dissolve davanti alla fiamma di un caminetto acceso, è lo sguardo entusiasta dei bimbi nell’attesa di Babbo Natale, è il sacro e il profano che convivono in un sodalizio magico, la chiesa, la messa, la stella cometa, la nascita di Gesù, l’occasione in più per dare un aiuto a chi ne ha bisogno, l’albero con i suoi regali accanto, la tombola, il convivio tra i propri affetti, i bigliettini di auguri, il pasto. 

Che la festa cominci!

 

Quando il Natale non si ama

Nello stesso modo di chi con un click accede a memorie positive, c’è chi invece associa il Natale a ricordi negativi e purtroppo non entra nella magia ma accede al tedio del Natale. La festa che a tutti i costi non si vede l’ora passi in fretta: nessun albero, nessuna cometa, nessun caminetto acceso.

Si sente molto freddo e voglia di sparire. Perché?

Possono esistere diversi motivi per cui il Natale può essere anche un generatore di stress e di malinconie. Per molte persone può essere l’esperienza di un percorso dove si è vissuto un cambiamento tra un Natale prima e un Natale dopo un certo evento, come spesso accade quando si perde un affetto caro. In questi casi la festa del Natale perde l’entusiasmo dell’attesa perché chi apparecchia la tavola sa che ci sarà un posto vuoto; il Natale sarà associato a qualcosa che amplifica un’assenza e nessun click scatterà per accedere alle memorie positive di un tempo che si sente dissolto. C’è chi invece con insofferenza percepisce di più del Natale l’aspetto consumistico a scapito di quello religioso e per non essere risucchiato nel vortice della corsa all’acquisto del regalo sotterra l’ascia allineandosi all’essenziale ma con lo stress di chi sente lo stesso l’oppressione sociale al consumo, godendo ugualmente del Natale ma sullo sfondo di una protesta; chi invece entra in quel vortice e con fatica si allinea al senso comune del fasto ma sente l’affanno del regalo ancora da pensare a tre ore dalla viglia, in aggiunta alla presenza di quel parente invitato che si odia da sempre. Poi c’è chi il Natale lo vive con il senso di colpa verso “chi non ha” e non accetta di lasciarsi andare a richiami di festa se sente che il suo prossimo fuori dalla porta di casa sta morendo di freddo e di solitudine.

Perché il Natale ha il potere di amplificare questa spaccatura tra chi è stato fortunato e chi no.

E allora in questo periodo di festa i senzatetto possono diventare il simbolo di ciò che si ha a scapito di chi non ha. Anche per questo molte persone durante tutto l’arco temporale dei festeggiamenti si sottraggono all’allegria sia domestica che sociale, calando su di essa un velo scuro.

 

Click!

Il Natale genera sensazioni diverse nelle persone, attiva parti di luce e di ombra. Il click delle memorie passate e dei vissuti è diverso per ognuno di noi e le dopamine del Natale si distribuiscono in maniera un po’ iniqua tra gli animi umani. Ma forse la magia del natale è anche questa, un’occasione per confermare chi siamo, cosa vogliamo continuare ad essere, e chissà, anche cosa potremmo cambiare di noi che da troppo tempo è rimasto dentro a macerare.

Personalmente mi piace pensare che l’atmosfera di festa natalizia possa contagiare anche chi si è sottratto per diverse ragioni a questo incanto, cominciando a riflettere sul fatto che il Natale possa offrire un’occasione per attenuare critiche e giudizi, affievolire malinconie, fare spazio a qualcosa di diverso per creare o ri-creare delle nuove memorie positive e accedere con un click a questa magia! Il colore di uno stato d’animo, di un pensiero o un’azione è più luminoso quando il giudizio è sospeso.

Buon Natale a tutti!

Domenica, 21 Giugno 2020 17:54

l'Impatto psicologico del covid

Non c’è dubbio che questo sia un anno speciale: una pandemia.

L’umanità intera è stata messa duramente alla prova a causa della devastante diffusione del virus covid-19 che ha causato in tutto il mondo una vera e propria strage di vite umane. La particolarità del virus sta nella possibilità di provocare una gamma ampia di patologie, dal banale raffreddore fino alle malattie respiratorie gravi e letali. Al suo esordio i sintomi possono essere più o meno gli stessi di una comune influenza e non per tutti sfocia in una malattia fatale. I più colpiti sono però le persone anziane e immunodepresse perché avendo già uno stato di salute precaria sono tra le categorie più facilmente a rischio.

Vista la sovrapponibilità di alcuni dei sintomi con quelli di un semplice stato influenzale, la diffusione del virus ha generato uno stato di crisi generale che oscilla tra terrore e allarmismo.

Purtroppo la parte letale del virus ha coinvolto una casistica molto ampia in modo rapido.

Affetti venuti a mancare così tanto in fretta da suscitare nei cari rimasti in vita un vero e proprio shock simile a qualsiasi situazione che reca in sé gli aspetti di un avvenimento traumatico: evento inaspettato e foriero di morte o comunque contenente elementi di una sua minaccia. Così la perdita repentina di persone care ha lasciato tanto dolore, incredulità e spavento.

Soprattutto in alcune zone più colpite dal virus, per esempio nel nord Italia, la situazione di emergenza ha impattato con la difficoltà delle strutture sanitarie di poter accogliere un’ondata di contagi così elevata da lasciare un segno indelebile nello spirito e nell’animo di chi ha combattuto in prima linea per poter attuare un intervento efficace sulla vita di molti contagiati.

La storia ci ha offerto in passato diversi esempi di situazioni epidemiche: dall’influenza spagnola del secolo scorso (1918) che contagiò mezzo miliardo di persone provocando, secondo le stime, non meno di 50 milioni di morti, al vaiolo nel 1500, alla più recente influenza suina  (2009) e il Sars CoV-2 (2002/2004) non meno letali.

Ciò che stiamo vivendo attualmente a causa del coronavirus ripropone esperienze già vissute in epoche e periodi differenti della storia ma possiamo affermare che tutte sono assimilabili ad un denominatore comune riferibile agli effetti destabilizzanti per l’essere umano sotto diversi punti di vista, economico, sociale, psicologico.

 

Piani di intervento ed effetti psicologici del corona virus

In questa situazione di emergenza a livello mondiale ciascuno Stato colpito ha messo in atto piani di intervento attinenti ad una serie di misure restrittive per cercare di arginare il più possibile la diffusione del contagio. Come sappiamo ciò ha portato alla chiusura della maggior parte delle attività economiche/commerciali, sociali, sportive, ricreative; il divieto di spostamenti via aerea, ferroviaria, navale sia in entrata che in uscita; la chiusura delle frontiere; obbligo di autocertificazione; spostamenti strettamente necessari a motivi di lavoro e salute, obbligo di mascherina; distanza di sicurezza tra persone.

Tutto ciò ha avuto effetti notevoli sul benessere psicologico delle persone e per quanto entrino in gioco fattori personali nel modo di reagire in ciascuno di noi, sono state comunque riscontrate una serie di sintomatologie psicologiche riferibili ad aumento dello stress; paura eccessiva di poter contrarre il virus in ogni occasione nonostante le misure di precauzione adottate; il vedere nell’altro non più una persona ma un potenziale “untore” fonte di contagio; pensiero catastrofico e negativo sull’impossibilità di una ripresa futura; accentuazione dello stato di malessere in chi già soffriva di ansia e/o depressione o in chi, vivendo all’interno di sistemi familiari altamente conflittuali, ha dovuto subirne le conseguenze in maniera più accentuata (per esempio la violenza domestica sulle donne ha avuto un picco maggiore in termini di frequenza dell’atto di abuso); disagio e angoscia per tutti coloro che vivendo per studio o lavoro fuori dai propri contesti familiari di origine e in regioni diverse hanno sofferto molto la lontananza dai propri cari, con la preoccupazione di poter fare poco o nulla in caso di malattia o sofferenza sia personale che di un familiare stesso; stati d’animo deflessi da isolamento accompagnati da senso di frustrazione e noia per la sospensione delle proprie abitudini sociali, di lavoro, amicizia, sport, viaggi ecc…; scarsa fiducia nei confronti dei canali ufficiali di informazione data a volte la discordanza delle opinioni e delle notizie in un contesto comunque difficile da “fotografare” anche per la continua mutevolezza degli eventi; forte senso di impotenza e smarrimento a causa della perdita del lavoro per chi ha avuto scarsa o nulla possibilità di ricollocare la propria attività in altri modi. Questa situazione di precarietà generale ha reso fondamentale un piano di intervento che ha coinvolto governo, istituzioni, cittadini volontari e coloro che operano nel campo medico e della salute mentale per aiutare tutti, soprattutto le persone più fragili e a rischio, a non sentirsi soli e a trovare strategie per affrontare, con la speranza di un esito finale più lieto, un percorso di ripresa psicologica difficile.

 

Variabilità psicologica degli effetti del covid

Se è vero che molte persone hanno risentito in modo negativo degli effetti della pandemia come accennato pocanzi, a onor di verità sono stati  riscontrati anche effetti più gradevoli in una situazione così al limite. Molte famiglie per esempio nella fase del lockdown, costrette a condividere lo spazio domestico senza possibilità di poter dilatare di più i momenti di non interazione tra i vari componenti, hanno riscontrato al proprio interno un re-incontro; una piacevole sorpresa nel ricoprire la bellezza del gruppo famiglia nel condividere di nuovo momenti di vita in cui ritrovare il piacere dello stare assieme nel gioco, nella risata, nell’ora del pasto, nel festeggiare il compleanno di un familiare. Come se la costrizione all’isolamento avesse anche offerto la possibilità di riscoprire un “essere con” che diversamente non sarebbe emerso, visto che la vita per diverse  esigenze ci spinge fuori dal contesto di casa dove necessariamente ognuno prende direzioni personali che poco spazio lasciano alla condivisione nel gruppo famiglia: lavoro, scuola, sport, amici ecc…

Molte altre persone invece hanno riscoperto un valore maggiore dell’amicizia e della socialità. Dandola per scontata proprio perché è lì dove possiamo vederla e accedere con facilità, l’isolamento ne ha invece focalizzato meglio la sua importanza nell'aspetto fondamentale dell’essere "animali sociali", trovando in questo una nostra essenza, un pezzo della nostra autenticità, quella che ci fa stare bene. Perché l’altro da noi è il termine di confronto, è il passatempo, il disimpegno e anche  l’impegno della costruzione di una intelligenza sociale nella quale misurarci costantemente aggiustando il tiro, perché tutti sappiamo quanto avere competenza nelle relazioni sociali, il saper stare con gli altri è misura di crescita personale e benessere psicologico, soprattutto quando troviamo attraverso lo sguardo dell’altro un rispecchiamento delle nostre risorse e dei nostri limiti.

E poi c’è chi invece ha percepito l’importanza di ritrovare sé stesso attraverso il riposo, cioè l’aver messo un confine più netto tra attività e stato di quiete, dandosi  la possibilità per un po’ di fermarsi ed uscire dalla frenesia delle richieste che ogni giorno vengono da fuori  occupando uno spazio mentale così ampio da estromettere qualsiasi altra cosa non sia compatibile con esse. Riscoprire invece che c’è anche altro, oltre le nostre frenetiche abitudini, in linea con bisogni e desideri che avevamo trascurato da tempo perciò dimenticato e adesso ritrovati.

 

Non abbassare la guardia ma imparare a convivere con il virus

Anche se oggi la situazione pandemica sembra registrare un calo dei decessi e dei contagi e la vita sta lentamente riprendendo i suoi spazi di prima, non bisogna né abbassare la guardia, né considerare che nelle persone, soprattutto chi ne ha sofferto in maniera più drammatica, non sia comunque rimasta una traccia di dolore o disagio che ostacola il cammino verso la ripresa ed il benessere psicologico. La speranza in ognuno di noi è che il virus possa dissolversi definitivamente portandosi via tutto il nefasto di cui si è fatto portatore prepotentemente e se vogliamo con beffeggio. Come sappiamo nulla però si realizza perché desiderato solamente, dobbiamo per questo lavoraci e costruire concretamente tutti i passaggi necessari affinché questa situazione non ci sfugga di mano lasciandoci diffidenti e distanti.

Oggi ricominciare la ripresa è molto simile alla caduta del bambino piccolo che, muovendo i primi passi per esplorare il mondo in autonomia, cerca di trovare un suo equilibrio tra la forza delle sue gambe e la sua determinazione ad usarle. Per questo dobbiamo ritrovare fiducia in noi stessi, abbassare i livelli della paura, sviluppare un pensiero positivo, rispettare le misure di sicurezza accogliendo l’altro fuori dal pregiudizio del potenziale “untore”, riprendere la misura nella distanza tra noi e le cose, perché oggi, come quel bambino, tutti noi abbiamo il dovere di ritrovare un equilibrio nuovo dopo la caduta e riconquistare la nostra libertà. Forse, vista l’esperienza, anche una libertà migliore perché più consapevole.

Genitori e figli adolescenti

Diventare genitore o essere genitore? Quesito che offre molteplici spunti di riflessione... Ciascun genitore potrebbe affermare che questo ruolo si impara sul campo e come qualsiasi esperienza di apprendimento si integra con le attitudini e le predisposizioni personali di ciascuno.

Certamente il mestiere più affascinante e complesso nello stesso tempo che attiva un insieme di emozioni contrastanti: dalla felicità di mettersi alla prova come madre e padre, con l’idea di donare tutto l’amore e la protezione possibile interpretando al meglio il proprio ruolo genitoriale, alla paura di sbagliare con i figli, di non essere all’altezza delle loro e delle proprie aspettative, dei buoni propositi pensati e idealizzati.

Ascoltando molti racconti su questa esperienza, sembra che nei diversi percorsi di ciascun genitore le emozioni che oscillano tra gioia di vivere la relazione con i propri figli e il timore di fare degli errori, unite agli interrogativi che mettono in dubbio su come si stia interpretando il proprio ruolo genitoriale, siano sempre una costante in tutto il corso dell’esperienza nel rapporto genitori/figli.

Se questo è vero in tutto l’arco evolutivo dell’essere genitore con momenti alterni di maggior quiete ed equilibrio, sembra quasi certo che nell’affaccio all’adolescenza del proprio ragazzo/a la curva dell’incertezza sul ruolo genitoriale prenda la direzione di un vorticoso crollo verso il basso.

 

Adolescenza e cambiamento: quale vissuto per il genitore

L’adolescenza è un momento dell’età evolutiva di cui si è sempre parlato molto proprio per la peculiarità di alcune caratteristiche. Per esempio essere adolescenti significa vivere un tempo di passaggio in cui si cambia pelle nel vero senso della parola.

E’ il cambiamento delle caratteristiche fisiche e dell’approccio con diversi modi di sentire e di pensare non più allineati al bambino della “favola prima di andare a dormire” di ieri ma al ragazzo un po’ schivo di oggi, che ora vuole uscire con gli amici ma più tardi vorrà stare da solo nella sua stanza disordinata e uscirne dopo ore di “clausura”.

Questa evoluzione e oscillazione nei modi di essere e di fare ha certamente una sua progressione lenta che si determina giorno per giorno durante il passaggio dall’età infantile all’adolescenza, (stimata in un periodo che va da circa  i 12 anni fino ai 20/21 anni, se non addirittura per alcuni 24).

E anche se la crescita sappiamo essere fatta per tappe che si dispiegano lentamente nel tempo, in realtà la sensazione di gran parte dei genitori rispetto al proprio ragazzo/a è quella di un cambiamento velocissimo, repentino, senza mediazione edulcorante, come se il proprio figlio andasse a letto la sera prima con l’orsacchiotto e si svegliasse la mattina dopo con la barba e il vocione! La peculiarità dell’adolescenza per il genitore sta anche molto in questa percezione di un “tempo di cambiamento repentino”.

Quel tempo che non avverte,  un po’ impietoso che lascia mamma e papà confusi circa la nuova identità di un figlio che con una certa assertività sta diventando portatore di nuove richieste ed esigenze tutte da realizzare, questa volta, secondo i suoi gusti e i suoi tempi.

Quest’ultimo aspetto spesso tra genitori e figli può creare alcune tensioni e attivare dei veri e propri “braccio di ferro” perché ognuno vuole tirare l’altro verso di sé per allinearlo alle proprie aspettative, soprattutto quando il genitore richiama il figlio alle regole e ai doveri, aspetto spesso dibattuto tra le parti in diversi contesti: studio, sport, regole di casa, atteggiamenti, modi di fare ecc…

Il vissuto dei genitori in questi casi può variare tra un senso di inadeguatezza e di impotenza unita anche alla rabbia o alla delusione per l’idea di un figlio che sta sfuggendo e che si ha la sensazione di non riuscire più a recuperare né a comprendere.

 

Chi è l’adolescente?

Il ragazzo/a in questione si presenta come una persona che vive dentro di sé un cambiamento su più fronti: fisico, ormonale, psicologico, emotivo, sociale. La socialità si allarga ad un concetto di comitiva, il gruppo di pari diventa una seconda famiglia portatrice di regole nuove in fatto di abbigliamento, taglio di capelli, stile linguistico, moda, modelli, tipi di giochi, di interessi e passatempi. La frase chiave è “adesione al gruppo” dove il tutto da fare è che si faccia assieme, possibilmente fuori dall’occhio controllante di mamma e papà perché parte di ciò che si vuole fare è anche proibito e deve restare segreto.

A livello fisico la “metamorfosi” è evidente. Si sviluppano i caratteri sessuali sotto la spinta di processi di maturazione biologica dove si percepisce una vera e propria esplosione ormonale; nascono i primi flirt timidi o sfrontati, i primi approcci all’intimità, ai sentimenti di attrazione fisica verso l’altro, la paura di essere rifiutati perché un rifiuto è la conferma che non si è ok, che così come si è non va bene. Psicologicamente sembra che tutta la realtà confluisca in un lettura degli opposti: o è tutto bianco o tutto nero, o bellissimo o bruttissimo.

Le vie di grigio sono roba da vecchi e tu adulto è inutile che ti interessi perché non puoi capire. I vissuti emotivi sono pieni di enfasi sia sul polo positivo che negativo, dove tutto sembra essere amplificato da un sentire che non trova appigli in nessuna mediazione: “mi sento benissimo e la vita è meravigliosa” oppure  “sto malissimo, sono nel tunnel e non c’è via d’uscita”.

Tutto si dispiega inoltre in una continua oscillazione tra bisogno di dipendenza e autonomia con richieste spesso ambivalenti tra il desiderio di essere protetto e quello di essere autonomo e lasciato più a sé:  da una parte la necessità di essere “dentro”, per esempio ritrovare nella casa sempre un luogo sicuro a cui accedere, sentire la presenza dei genitori, la richiesta implicita di accudimento; dall’altra l’esigenza del vissuto “fuori” da tutto ciò che è familiare per accedere a qualcosa di diverso con gli amici. Vige la regola del “non chiedere troppo” rispetto a cosa si fa, dove si va, con chi si sta e a che ora si torna.

Visto così l’adolescente si offre al mondo adulto come l’enigma dalle fattezze scontrose, il rompicapo dalla soluzione complessa che può mettere a dura prova chi gli sta accanto senza sconti di pena, generando nel genitore un vissuto di disorientamento e confusione e anche di rabbia. In realtà ad una lettura più approfondita e attenta troveremo nel nostro adolescente molti spunti di riflessione per trasformare ciò che è così alieno da noi in qualcosa di molto più umano e riconoscibile.

 

Come leggere il figlio adolescente

Nella delicata fase di convivenza con l’adolescente che si offre con le sue ambivalenze e moti d’animo oscillanti, può essere facile come genitore sentirsi smarriti e un po’ incerti. La realtà è che questo disorientamento è con molta probabilità lo stesso che sta provando il ragazzo/a in questione che, trovandosi anch’esso spiazzato dai cambiamenti dettati dalla sua maturazione bio/psico/sociale, sta muovendo i primi passi all’interno di  un processo che per sua natura può generare smarrimento.

Un primo modo di affrontare la situazione è non spaventarsi ma guardare con una lente più creativa ciò che sta accadendo. Si può osservare un figlio lasciando tra lui e lo sguardo del genitore una distanza di sicurezza, cioè uno spazio libero in cui da una parte i figli possono sperimentarsi in tutta la loro realtà di adolescenti piena di nuove esperienze, curiosità, timori ed errori, mentre dall’altra i genitori, invece di essere in attesa che il tempo dell’adolescenza passi in fretta, possono vivere assieme ai loro ragazzi l’esperienza di quel “nuovo ed incerto” per loro ancora tutto da scoprire, dove la presenza del genitore ha un ruolo di accompagno che affianca con amorevolezza e libertà i vissuti e le esperienze di vita dei propri figli.

Più che temere quale sarà la prossima discussione e prenderla come un affronto personale, si può pensare invece a come abbracciare i loro timori o comprendere i motivi di un errore che avrebbero potuto evitare con il buon senso; condividere una loro gioia; accoglierli anche quando sbagliano ed aggiustare il tiro perché, anche se loro non lo danno a vedere, hanno costantemente bisogno di una figura guida che li rispecchi nel bene e nel male, che dia loro un’identità costruita attraverso una presenza genitoriale che infonda sicurezza e li faccia sentire che vanno bene anche quando sentono di non valere nulla, aiutandoli a trasformare i loro passi incerti in un cammino dove muoversi nel tempo con più stabilità e consapevolezza di sé.

In questo video/intervista che potete visualizzare mi propongo di parlare di Analisi Transazionale (AT), modello e teoria della personalità utilizzata nel mio contesto lavorativo e di intervento.

La parte iniziale dell’intervista spiega in generale cos’è l’Analisi Transazionale, dove nasce, chi è il suo autore e gli assunti filosofici di base del modello.

Proseguo successivamente soffermandomi in particolare sul concetto degli Stati dell’ Io: cosa sono, come funzionano, quali sono le patologie strutturali ad essi riferite.

Sottolineo l’utilità di questo concetto per conoscere meglio in terapia il sistema delle transazioni tra le persone, cioè degli scambi comunicativi che abbiamo con gli altri e con noi stessi, come avvengono tali scambi e cosa accade nella comunicazione quando funzioniamo più con uno Stato dell’Io rispetto agli altri.

 

Grazie e buona visione!

Giovedì, 20 Giugno 2019 15:03

Il tempo in psicologia

Il tempo: che cos’è e quanto ne abbiamo a disposizione?

Tempo…concetto affascinante dai mille volti. Un elemento che vive dentro e fuori le nostre esistenze. Il tempo che passa silenzioso in un incessante proseguo di istanti scanditi dalle stagioni, dal movimento della terra, dei mari, dei vulcani, dalla natura che muore e rinasce. Poi esiste il tempo interiore quello che vive dentro di noi quando ci consegna alla personale elaborazione dei nostri vissuti e dei nostri obiettivi: “ho bisogno del mio tempo…” “mi prendo un tempo per pensare…” “il tempo del mio proposito è adesso”, ecc…

E mentre noi il tempo lo viviamo, lo perdiamo, lo ignoriamo, lo godiamo, lo combattiamo, lui esiste a prescindere da tutto. Mentre il tutto si evolve, cose, persone ed eventi, lui fa da sfondo, sembra vegliare sulle nostre esistenze come un’entità a parte, a volte remando a favore regalandoci occasioni e opportunità, altre volte contro. Si, perché il tempo quando vuole scopre il volto della beffa, non ci ricorda apertamente di non prenderci gioco di lui, di non farlo scorrere inutilmente perché non tornerà per darci un’altra occasione, quello è il suo momento per te, sembra dire “carpe diem” o mai più, e intanto noi viviamo nell’ illusione di averne così tanto a disposizione da “rimandare sempre a domani ciò che possiamo fare oggi” oppure il contrario, sentiamo di non averne mai abbastanza, come se una giornata fosse troppo breve per concentrare tutte le attività a cui ci dedichiamo.

 

Perdere tempo o non averne mai abbastanza: quando e perché abbiamo queste sensazioni?

A chi non è mai capitato di vivere momenti della propria vita con il sentore che il  tempo stia sfuggendo o perché lo lasciamo scorrere inutilmente o perché lo riempiamo così tanto di attività e doveri quotidiani da non averne mai a sufficienza come vorremmo. Il risultato di questo è una sensazione di impotenza e frustrazione rispetto alla quale mettiamo in atto una manovra che sposta fuori da noi le cause delle nostre apprensioni: “è colpa del tempo che passa, scorre, fugge, inganna, non torna indietro…

Ad una più attenta riflessione in realtà il tempo assume una sua connotazione positiva o negativa in relazione alla percezione che ne abbiamo, influenzata a sua volta da come vogliamo essere dentro le nostre vite. Il divertimento e la noia sono per esempio due misure della velocità o della lentezza del tempo. Infatti quando ci divertiamo non ci accorgiamo neanche di avere un orologio al polso, se siamo in attesa di qualcosa che ci fa penare o annoiare siamo in grado di sovvertire le leggi della matematica, un’ora non è più composta di 60 minuti ma almeno 180…per essere ottimisti!

Quando abbiamo la sensazione di perdere tempo o che ci sfugga è verosimile che non stiamo facendo qualcosa che vorremmo fare, ci sentiamo immersi nelle nostre abitudini, in una “routine” che, ci piaccia o no, offre una “confort zone” nella quale sentirci protetti anche se cominciamo ad averne una certa insofferenza. E’ come se nella nostra vita arrivasse un momento in cui si sente il bisogno di una “svolta” che non è sempre facile mettere a fuoco in cosa realmente consista, ma sentiamo per noi la necessità di qualcosa di diverso che ci faccia capitolare in una nuova esperienza, dandoci la sensazione di un tempo più di qualità, dove la godibilità restituisce la sensazione di un tempo che nè fugge né è sprecato. Quindi, al di là di un tempo che oggettivamente procede per sua fisiologia, la realtà che sia lento o veloce, che sfugga o resti invece immortalato in istanti di felicità goduta, dipende da noi.

Se aggiungiamo inoltre la variabile culturale abbiamo anche uno specchio più ampio per vederci in azione nel nostro percorso temporale, Ghandi diceva: “gli occidentali hanno l’ora ma non hanno mai tempo”.

 

Come uscire dalla trappola del tempo sprecato che passa e va?

Non abbiamo poco tempo, ne perdiamo molto”… diceva Seneca.

Possiamo immaginare il nostro tempo come una tela bianca che ci offre l’opportunità di tracciare una figura che per noi abbia un senso, qualcosa che ci risulti credibile, un disegno che funzioni con una sua armonia al di là di ciò che rappresenta per ciascuno noi. Questa metafora rimanda alla possibilità di vedere il tempo come qualcosa che siamo in grado di plasmare sulla base delle nostre esigenze. Potremmo quindi disegnare il nostro tempo dandogli una forma in base a ciò che desideriamo per noi, perché è probabile che la vera ragione di un tempo che fugge o che va sprecato sia legata proprio a come non lo stiamo adeguando ai nostri bisogni più autentici.

Per comprenderci meglio in questo senso è necessario un “tempo di riflessione” che ci spinga a vedere cosa per noi è importante e come ci muoviamo nel nostro quotidiano, cioè in che modo vogliamo starci dentro, se da una posizione libera in cui ciò che accade attorno a noi e dentro di noi viene accolto con amorevolezza e con uno sguardo che osserva cosa stiamo facendo e come aggiustare il tiro se tendiamo a perdere la direzione, oppure restare passivi dentro la sgradevolezza di un tempo che non sentiamo più il nostro e che per questo passa e va.

L’augurio che propongo seguendo la metafora è quello di non abbandonare la nostra tela, non lasciarla impolverare inutilmente, ma prendere l’iniziativa per darle il colore e la forma che le spetta.

 

Intervento: terapia/sostegno psicologico

Come psicologa e psicoterapeuta mi occupo di diverse problematiche legate sia a quadri clinici più strutturati sia a situazioni contingenti di vita su cui può essere necessario avere un sostegno psicologico o più semplicemente uno scambio di idee. Chiunque abbia necessità di avere un confronto sul tema indicato nell’articolo a causa dei propri vissuti personali legati a situazioni simili, può contattarmi, richiamerò prima possibile.

Mercoledì, 17 Aprile 2019 10:14

Il genitore senza memoria

Cos' è la memoria?

Possiamo accedere a tanti significati di questo termine quanti sono i campi di studio ad esso collegati. Così la memoria diventa la capacità del cervello  di conservare informazioni; è il processo con cui si codificano, si immagazzinano e si recuperano i dati; in informatica può essere considerata astrattamente come una sequenza finita di celle che contengono una sequenza finita di bit; è la rievocazione di un ricordo che rivive nell’animo e nel pensiero. La memoria nella nostra esperienza è una capacità innata del cervello che nutre la consapevolezza della nostra identità. Chi saremmo senza memoria? Resteremmo sempre noi però senza esserlo davvero?

Se perdessimo uno dei nostri cinque sensi resteremmo ugualmente noi. Chi non vede può arrivare ad essere ciò che è attraverso altri sentieri che il corpo e la mente consentono di percorrere. Così ciò che è attorno a noi possiamo toccarlo e ciò che è dentro di noi possiamo sentirlo e se vogliamo siamo in grado di dargli uno spessore, una forma, un colore, trasformarlo in ciò che realmente è e farlo diventare un pezzo di identità che ci appartiene.

Tra memoria e coscienza esiste un filo indissolubile, non possiamo considerarli due elementi opposti della stessa unità, essi sono quella unità tutta, e basta. Quando comincia a dissolversi la memoria, la coscienza si dissolve, quando la memoria sfuma nell’oblio trascina con sé anche la nostra capacità di essere in noi, di vederci, di sentirci e toccarci, non importa se abbiamo occhi oppure no, potremmo essere anche senza naso ma se siamo senza memoria la sensazione è di non essere più noi stessi.

 

Quando un genitore ricorda meno: quali sono le risonanze emotive sui figli che si prendono cura?

Assistere al rallentamento cognitivo, nella funzione della memoria, di un genitore non è un’esperienza che a tutti va in sorte, ma chi la vive sa che si tratta di un evento di quelli che segnano un capitolo emotivo unico ed irripetibile nella propria vita; un vissuto molto doloroso che tocca l’ anima così in profondità da percepire un male quasi fisico.

C’è un momento in cui il cervello di una persona sceglie la strada dell’oblio.

Non sappiamo quale sia il motivo, la spinta iniziale che attiva questo processo degenerativo; quello che è certo al momento è che la scelta di un neurone di intraprendere un percorso al posto di un altro sembra arbitraria, esattamente come la scelta di un essere umano di decidere tra guerra o pace. Al di là delle ragioni, quelle più accessibili alla coscienza, non è mai dato conoscere davvero perché un uomo, così come un neurone, decidano per sé percorsi tanto nefasti. Quando però da spettatori ci troviamo dentro quella decisione non abbiamo altra scelta che partecipare ed iniziare ad attraversare con il nostro caro le deviazioni della sua memoria, sia da un punto di vista di gestione pratica che emotiva.

Ci sono delle fasi.

All’inizio la dimenticanza sembra un fatto accidentale, non ricordare un breve percorso stradale o di preferire da sempre un cibo al posto di un altro, sembrano atti di semplice distrazione giustificati come stanchezza del momento, quell’attimo un po’ naif dell’ essere “tra le nuvole”…A chi di noi non capita senza che diventi un affare di Stato!?

Poi man mano si comincia a prendere atto che certe dimenticanze del nostro genitore non siano proprio così accidentali e, anche se rientrano nell’alveo della sporadicità, con una debole messa a fuoco del problema, tra negazione e consapevolezza che la nostra coscienza di figli è stata pungolata senza appello, sappiamo che il campanello di allarme si è attivato. Da li a passare a: “dove si trova il citofono di casa; “dove è il bagno”; “chi è questa persona che tu figlio riconosci l’amico di famiglia di una vita”;  “chi sei tu”;  “è mattina quindi si cena o si fa colazione”?…il passo è breve.

Ciò che noi figli soffriamo di questa situazione è la partecipazione da spettatori impotenti allo smarrimento del nostro genitore, quando il suo sguardo resta fermo ed interdetto di fronte alla realtà dei ricordi e riusciamo ad intercettare in esso un istante di confusione, quell'attimo in cui il nostro genitore è dentro ad un conflitto tra ciò che percepisce provenire dall’interno di sé (come ricordo io) e ciò che percepisce fuori da sé (come ricordano gli altri). Quella lotta di coscienze di forza pari e contraria, dove ognuna sembra smentire la realtà dell’altra, è impressa nell'espressione di perplessità del proprio caro che ha occhi grandi e spaventati. Sembra voler dire a sé stesso “che cosa mi sta accadendo”? In quell'espressione smarrita tra la paura e la perplessità si gioca il suo dolore e quello di noi figli.

 

Quale la cura migliore per il nostro genitore? 

In questi casi la cura migliore è offrire amore e presenza nella gestione delle autonomie, nel donare affetto ed essere attivi in tutto ciò che riguarda il quotidiano del genitore affetto da malattie che colpiscono la memoria. Amore e presenza rappresentano un fatto tangibile e concreto nella buona risposta del genitore al contenimento di questo inesorabile oblio. Fatte salve le cure farmacologiche, questo fatto dell’amore non è né poco né scontato. E’ la soluzione che attenua più di tutto il dolore di entrambi, genitore e figli, perché nutre la parte forte, quella che decide di spingersi in avanti e non abbattersi. Mamma o papà nel loro declino, a dispetto di tutte le riflessioni sul loro essere o non essere più presenti a sé stessi, sembrano comunque comprendere da qualche parte delle loro coscienze di essere curati e amati.

A volte non ricorderanno chi siamo, forse non saranno consapevoli quando ci guardano che siamo i figli che offrono loro l’abbraccio sincero prima del congedo della buonanotte o il saluto del buongiorno, ma quell’abbraccio è potente per noi e speriamo in cuor nostro che lo sia anche per loro, perché a dispetto di tutte le teorie e le riflessioni su questo tema, è un gesto che vuole trasmettere questo messaggio: 

Caro genitore, voglio comunicarti con il senso del tatto che io sono la tua memoria, sono qui a ricordarti che resterai comunque una persona unica, con i tuoi connotati e i tuoi pensieri di sempre, il tuo saper fare, il tuo essere autonomo, con il cibo che preferisci al posto di un altro, con il ricordo del vecchio amico di famiglia e che oggi, anche se i tuoi neuroni hanno deciso per te un percorso alternativo della coscienza e della memoria, hai ancora intatti i tuoi cinque sensi per percepire in un odore, in una musica, in questo abbraccio il tramite che arriva al ricordo della tua identità”.

Il tradimento nella coppia

“Ti perdono o non ti perdonerò mai, questo è il problema”

Essere in una relazione di coppia vuole dire tutte le cose che hanno generalmente a che fare con un’idea di intimità e di amore condivisi intensamente, come si dice, nella buona e nella cattiva sorte. Ci si può amare per tutto e il contrario di tutto e potremmo citare all’ infinito una moltitudine di aspetti che ci legano a qualcuno in un percorso di vita a due, anche quando in tale moltitudine non troviamo sempre un riparo sicuro dalle nostre incertezze. Perché possiamo sentirci amati, coccolati, vezzeggiati ma il quesito insidioso a cui la coppia per “fisiologia” espone i suoi partners arriva puntuale punzecchiando le coscienze: “mi avrà mai tradito”?

Tradire non possiamo ritenerlo un fatto accidentale, ognuno di noi se e quando ha tradito in qualche modo ha tracciato dentro di sé e attorno a sé un percorso per giungere a vivere questa esperienza. Per qualcuno è palesemente intenzionale come nel traditore seriale, colui o colei che non possono vivere dentro una relazione se non si concedono la possibilità di “dare uno sguardo anche fuori”; per altri può essere un vissuto più occasionale quindi più distante dal tema della dipendenza da “scappatella”; per altri ancora solo qualcosa di immaginato ma mai osato, potremmo definirlo il traditore platonico che sublima questa possibilità nutrendola solo nella fantasia ma restando fedele al proprio partner con il corpo…un po’ meno con la mente. Ad ogni modo qualunque sia la realtà del tradimento e le ragioni che lo sottendono, quando esso viene alla luce i guai non mancano.

Gestire la scoperta di un tradimento non è una questione semplice, neanche per chi più di altri è portato a perdonare o ha una maggiore resilienza e quindi più in grado di  superare eventi che mettono a dura prova la capacità di risollevarsi e andare avanti.

 

Qual’ è l’aspetto del tradire che ferisce davvero la persona tradita?

Ci sono più aspetti che toccano nell’animo chi subisce un tradimento. Per esempio la parte più istintiva del nostro essere connessa con il senso del possesso rende inaccettabile la ferita del tradimento perché riattiva quella pretesa, fino ad allora placata, di avere di diritto una centralità unica e indiscutibile nella vita dell’altro.

Tale pretesa che si potrebbe tradurre nel pensiero più o meno inconscio: “io sono il tuo centro, nessun altro fuori da me” è una delle ragioni che rende insopportabile l’essere stati traditi; la ferita narcisistica che tocca una parte viscerale ed ancestrale del nostro essere.

Poi esistono le ragioni del cuore e dell’anima, quelle che hanno spinto ad investire i propri sentimenti e la propria vita nella relazione con l’altro in un patto implicito di fedeltà che una volta infranto trascina via tutto, come un’ondata violenta. L’impatto di chi scopre un tradimento infatti è molto simile ad uno “tsunami” che porta via lasciando storditi e col fiato corto. Ciò che viene tradita è la fiducia in un’idea del proprio partner che non è più corrispondente alla realtà, chi tradisce infrange questa idea e tutto ciò che in essa era contenuto, lasciando l’altro nello sconforto e nella parte del “credulone” che sta giocando da solo la partita. 

 

Quali sono le emozioni principali dopo la scoperta del tradimento?

Le emozioni che si manifestano a seguito di questa scoperta possono essere varie ed opposte. L’impatto è di sprofondare nel dolore e al tempo stesso nella rabbia di sentirsi messi da parte, di non essere stati capaci di bastare all’altro e in qualche modo, a volte, di sentirsi anche responsabili per questo: “cosa ho sbagliato”?  Il vissuto emozionale è comunque esplosivo: dalla rabbia al dolore e poi angoscia, sfiducia, aggressività, remissione, stupore, stordimento. E’ certamente un’esperienza emotiva che in seconda battuta porterà i partners a scegliere in che posizione ricollocare la relazione dopo l’evento; con quali nuove consapevolezze e responsabilità riproporsi, questo sia se la relazione va avanti, sia se la relazione si chiude, perché ogni esperienza diventa insegnamento di quella successiva o di quello che accade immediatamente dopo.

 

Come si reagisce ad un tradimento?

Le reazioni al tradimento hanno una variabilità corrispondente alle moltitudini caratteriali delle persone. C’è chi da subito chiude la relazione senza appello; chi si prende un tempo di riflessione per andare verso un atteggiamento di ascolto delle motivazioni, cercando di trovare la via del perdono e della pacificazione; chi invece, pur avendo riflettuto e confrontato le ragioni, sente dentro di sé di non riuscire a perdonare  percependo costantemente la minaccia di essere nuovamente tradito, ecc…

Ciò che accomuna tutte queste realtà è che l’evento del tradimento obbliga in ogni caso i partners alla riflessione e alla presa di coscienza di una nuova realtà interiore e di relazione, cercando di capire per esempio se da tempo erano necessari confronti su temi che venivano rimandati; invita a riflettere su come si vuole essere da quel momento in poi, qualunque piega prenda il corso della storia… Questo aspetto è molto importante se si pensa che ogni esperienza che porta in sé un segno di sconvolgimento ricrea nuove riflessioni su sé stessi e sulla vita in generale. Così, da questo punto di vista, un tradimento svelato può essere anche visto come un’esperienza di crescita, come un guado da attraversare o uno stallo della coppia quasi obbligatorio per rimettere mano su aspetti di relazione sui quali si è sempre temuto un confronto adulto e diretto. Sarà proprio tale confronto che, qualunque cosa accada, potrà aiutare chi è stato tradito a superare la ferita narcisistica e quella cuore, mentre chi ha tradito avrà l’occasione di porsi nei confronti del proprio partner e di sé stesso in una modalità adulta, quella che fa della sincerità un valore al posto della bugia e ad interrogarsi più a fondo sul fatto che, a dispetto di tutte le ragioni, forse quando si tradisce qualcuno si sta soprattutto tradendo sé stessi.

 

Intervento: terapia/sostegno psicologico

Come psicologa e psicoterapeuta a Roma, da più di 10 anni ascolto ed aiuto persone a gestire e risolvere situazioni difficili che possono manifestarsi all'interno della coppia. Per chi desidera approfondimenti o semplicemente ha domande da rivolgere; per chi ha necessità di un aiuto in una fase delicata della propria vita o desideri un supporto per superare un tradimento, può contattarmi, risponderò prima possibile.

Il mio studio di psicoterapia si trova a Roma in Largo Millesimo 19, 00168, vicino via di Torrevecchia  (Quartiere Trionfale).

Al suo interno è possibile trovare un ambiente confortevole ed accogliente,  dove lo spazio di ascolto diventa un luogo di scambio protetto che tutela la persona e la sua privacy.

Per fissare un appuntamento, per avere informazioni o rispondere a qualsiasi dubbio potete contattarmi al numero di cellulare: 339 89 30 771 (dal Lunedì al Venerdì dalle 09:00 alle 19:00), oppure inviare un messaggio tramite l'apposita area del sito o una mail al seguente indirizzo: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

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  • Stazione Ferrovie dello Stato: linea FM3 Roma-Viterbo, scendere alla fermata Gemelli. 
  • Metropolitana: linea A direzione Battistini, scendere alla fermata Battistini, prendere autobus linea 46 (Stazione Monte Mario) e scendere alla fermata Torrevecchia/Montebruno oppure linea 995 e scendere alla fermata Torrevecchia/Vallebona.

 

 

Lo studio di psicoterapia si trova in Largo Millesimo 19, 00168 Roma (Quartiere Trionfale).

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Psicologa Roma Dott.ssa Beatrice Caponi - Psicologa Psicoterapeuta

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