Figli adolescenti: come migliorare la relazione genitore-figlio

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Genitori e figli adolescenti

Diventare genitore o essere genitore? Quesito che offre molteplici spunti di riflessione... Ciascun genitore potrebbe affermare che questo ruolo si impara sul campo e come qualsiasi esperienza di apprendimento si integra con le attitudini e le predisposizioni personali di ciascuno.

Certamente il mestiere più affascinante e complesso nello stesso tempo che attiva un insieme di emozioni contrastanti: dalla felicità di mettersi alla prova come madre e padre, con l’idea di donare tutto l’amore e la protezione possibile interpretando al meglio il proprio ruolo genitoriale, alla paura di sbagliare con i figli, di non essere all’altezza delle loro e delle proprie aspettative, dei buoni propositi pensati e idealizzati.

Ascoltando molti racconti su questa esperienza, sembra che nei diversi percorsi di ciascun genitore le emozioni che oscillano tra gioia di vivere la relazione con i propri figli e il timore di fare degli errori, unite agli interrogativi che mettono in dubbio su come si stia interpretando il proprio ruolo genitoriale, siano sempre una costante in tutto il corso dell’esperienza nel rapporto genitori/figli.

Se questo è vero in tutto l’arco evolutivo dell’essere genitore con momenti alterni di maggior quiete ed equilibrio, sembra quasi certo che nell’affaccio all’adolescenza del proprio ragazzo/a la curva dell’incertezza sul ruolo genitoriale prenda la direzione di un vorticoso crollo verso il basso.

 

Adolescenza e cambiamento: quale vissuto per il genitore

L’adolescenza è un momento dell’età evolutiva di cui si è sempre parlato molto proprio per la peculiarità di alcune caratteristiche. Per esempio essere adolescenti significa vivere un tempo di passaggio in cui si cambia pelle nel vero senso della parola.

E’ il cambiamento delle caratteristiche fisiche e dell’approccio con diversi modi di sentire e di pensare non più allineati al bambino della “favola prima di andare a dormire” di ieri ma al ragazzo un po’ schivo di oggi, che ora vuole uscire con gli amici ma più tardi vorrà stare da solo nella sua stanza disordinata e uscirne dopo ore di “clausura”.

Questa evoluzione e oscillazione nei modi di essere e di fare ha certamente una sua progressione lenta che si determina giorno per giorno durante il passaggio dall’età infantile all’adolescenza, (stimata in un periodo che va da circa  i 12 anni fino ai 20/21 anni, se non addirittura per alcuni 24).

E anche se la crescita sappiamo essere fatta per tappe che si dispiegano lentamente nel tempo, in realtà la sensazione di gran parte dei genitori rispetto al proprio ragazzo/a è quella di un cambiamento velocissimo, repentino, senza mediazione edulcorante, come se il proprio figlio andasse a letto la sera prima con l’orsacchiotto e si svegliasse la mattina dopo con la barba e il vocione! La peculiarità dell’adolescenza per il genitore sta anche molto in questa percezione di un “tempo di cambiamento repentino”.

Quel tempo che non avverte,  un po’ impietoso che lascia mamma e papà confusi circa la nuova identità di un figlio che con una certa assertività sta diventando portatore di nuove richieste ed esigenze tutte da realizzare, questa volta, secondo i suoi gusti e i suoi tempi.

Quest’ultimo aspetto spesso tra genitori e figli può creare alcune tensioni e attivare dei veri e propri “braccio di ferro” perché ognuno vuole tirare l’altro verso di sé per allinearlo alle proprie aspettative, soprattutto quando il genitore richiama il figlio alle regole e ai doveri, aspetto spesso dibattuto tra le parti in diversi contesti: studio, sport, regole di casa, atteggiamenti, modi di fare ecc…

Il vissuto dei genitori in questi casi può variare tra un senso di inadeguatezza e di impotenza unita anche alla rabbia o alla delusione per l’idea di un figlio che sta sfuggendo e che si ha la sensazione di non riuscire più a recuperare né a comprendere.

 

Chi è l’adolescente?

Il ragazzo/a in questione si presenta come una persona che vive dentro di sé un cambiamento su più fronti: fisico, ormonale, psicologico, emotivo, sociale. La socialità si allarga ad un concetto di comitiva, il gruppo di pari diventa una seconda famiglia portatrice di regole nuove in fatto di abbigliamento, taglio di capelli, stile linguistico, moda, modelli, tipi di giochi, di interessi e passatempi. La frase chiave è “adesione al gruppo” dove il tutto da fare è che si faccia assieme, possibilmente fuori dall’occhio controllante di mamma e papà perché parte di ciò che si vuole fare è anche proibito e deve restare segreto.

A livello fisico la “metamorfosi” è evidente. Si sviluppano i caratteri sessuali sotto la spinta di processi di maturazione biologica dove si percepisce una vera e propria esplosione ormonale; nascono i primi flirt timidi o sfrontati, i primi approcci all’intimità, ai sentimenti di attrazione fisica verso l’altro, la paura di essere rifiutati perché un rifiuto è la conferma che non si è ok, che così come si è non va bene. Psicologicamente sembra che tutta la realtà confluisca in un lettura degli opposti: o è tutto bianco o tutto nero, o bellissimo o bruttissimo.

Le vie di grigio sono roba da vecchi e tu adulto è inutile che ti interessi perché non puoi capire. I vissuti emotivi sono pieni di enfasi sia sul polo positivo che negativo, dove tutto sembra essere amplificato da un sentire che non trova appigli in nessuna mediazione: “mi sento benissimo e la vita è meravigliosa” oppure  “sto malissimo, sono nel tunnel e non c’è via d’uscita”.

Tutto si dispiega inoltre in una continua oscillazione tra bisogno di dipendenza e autonomia con richieste spesso ambivalenti tra il desiderio di essere protetto e quello di essere autonomo e lasciato più a sé:  da una parte la necessità di essere “dentro”, per esempio ritrovare nella casa sempre un luogo sicuro a cui accedere, sentire la presenza dei genitori, la richiesta implicita di accudimento; dall’altra l’esigenza del vissuto “fuori” da tutto ciò che è familiare per accedere a qualcosa di diverso con gli amici. Vige la regola del “non chiedere troppo” rispetto a cosa si fa, dove si va, con chi si sta e a che ora si torna.

Visto così l’adolescente si offre al mondo adulto come l’enigma dalle fattezze scontrose, il rompicapo dalla soluzione complessa che può mettere a dura prova chi gli sta accanto senza sconti di pena, generando nel genitore un vissuto di disorientamento e confusione e anche di rabbia. In realtà ad una lettura più approfondita e attenta troveremo nel nostro adolescente molti spunti di riflessione per trasformare ciò che è così alieno da noi in qualcosa di molto più umano e riconoscibile.

 

Come leggere il figlio adolescente

Nella delicata fase di convivenza con l’adolescente che si offre con le sue ambivalenze e moti d’animo oscillanti, può essere facile come genitore sentirsi smarriti e un po’ incerti. La realtà è che questo disorientamento è con molta probabilità lo stesso che sta provando il ragazzo/a in questione che, trovandosi anch’esso spiazzato dai cambiamenti dettati dalla sua maturazione bio/psico/sociale, sta muovendo i primi passi all’interno di  un processo che per sua natura può generare smarrimento.

Un primo modo di affrontare la situazione è non spaventarsi ma guardare con una lente più creativa ciò che sta accadendo. Si può osservare un figlio lasciando tra lui e lo sguardo del genitore una distanza di sicurezza, cioè uno spazio libero in cui da una parte i figli possono sperimentarsi in tutta la loro realtà di adolescenti piena di nuove esperienze, curiosità, timori ed errori, mentre dall’altra i genitori, invece di essere in attesa che il tempo dell’adolescenza passi in fretta, possono vivere assieme ai loro ragazzi l’esperienza di quel “nuovo ed incerto” per loro ancora tutto da scoprire, dove la presenza del genitore ha un ruolo di accompagno che affianca con amorevolezza e libertà i vissuti e le esperienze di vita dei propri figli.

Più che temere quale sarà la prossima discussione e prenderla come un affronto personale, si può pensare invece a come abbracciare i loro timori o comprendere i motivi di un errore che avrebbero potuto evitare con il buon senso; condividere una loro gioia; accoglierli anche quando sbagliano ed aggiustare il tiro perché, anche se loro non lo danno a vedere, hanno costantemente bisogno di una figura guida che li rispecchi nel bene e nel male, che dia loro un’identità costruita attraverso una presenza genitoriale che infonda sicurezza e li faccia sentire che vanno bene anche quando sentono di non valere nulla, aiutandoli a trasformare i loro passi incerti in un cammino dove muoversi nel tempo con più stabilità e consapevolezza di sé.

Psicologa Roma Dott.ssa Beatrice Caponi - Psicologa Psicoterapeuta

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